Palestra in condominio, il quesito
Ci scrive un nostro lettore:
Sono proprietario di un locale commerciale in un edificio in condominio.
Volendo metterlo a reddito, non con affitto, ma con un’attività mia, avevo pensato di aprire una palestra. La zona non ne è serviate e sono convinto che, appena potranno riaprire queste attività, ci sarà una buona richiesta.
Mi domando, tuttavia, se debba domandare autorizzazione al condominio, ovvero se debba considerare altri aspetti di norme che non conosco.
Non vorrei, sul più bello, dover tirare i remi in barca. Che mi dite?
Siamo contenti dell’ottimismo del nostro lettore per la ripresa delle attività: è positivo leggere che dietro lo sconforto apparente si nasconda questo spirito d’iniziativa. Ma non divaghiamo e restiamo alle “nostre cose” condominiali.
Diamo per assodato che il lettore conosca le norme igienico sanitarie che devono essere rispettate per l’apertura di questo genere di attività.
Grandezza minima degli spogliatoi, aerazione, prevenzione incendi ecc.
In casi del genere è fondamentale valutare ogni aspetto dell’idoneità dei locali in fase di progettazione: sarà il tecnico incaricato dall’imprenditore per la realizzazione dell’opera a dover valutare la ricorrenza di tutti i requisiti strutturali ovvero, se possibili, le eventuali modifiche.
Soffermiamoci sugli aspetti condominiali.
Palestra in condominio e regolamento contrattuale: il divieto specifico
Com’è noto a chi si occupa di condominio, solamente un regolamento di origine contrattuale può contenere norme in grado di limitare se non addirittura vietare determinate attività nell’ambito delle unità immobiliari ubicate nell’edificio.
È assolutamente pacifico in senso alla giurisprudenza – di merito di legittimità – che «in materia di condominio negli edifici, l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, nell’interesse di tutto il condominio o di una sua parte, e che vietano, in particolare, a tutti o ad alcuni dei condomini di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili, ovvero li obbligano a preservarne le originarie destinazioni per l’utilità generale dell’intero edificio, o di una sua parte» (Cass. 19 ottobre 1998 n. 10335).
Leggendo il principio generale guardando al nostro caso, possiamo dire che è del tutto legittimo che i condòmini, al momento dell’acquisto delle abitazioni ovvero anche dopo, possano accettare clausole che vietino la destinazione delle unità immobiliari, ad esempio, a palestre e simili. Condizione necessaria e sufficiente è che la clausola sia accettata da tutti i condòmini.
Insomma un simile divieto non può essere contenuto in un regolamento votato a maggioranza dall’assemblea.
Palestra in condominio e regolamento contrattuale: il riferimento al pregiudizio
La tipologia di divieto che individua specificamente le destinazioni vietate non è l’unica possibilità. Questa, come dire, è la più chiara e diretta.
Se è stabilito che non si può svolgere attività di palestra chi viola la norma potrà essere obbligato a cessare quella destinazione d’uso.
Più genericamente, ma non direttamente, il divieto, purché si tratti sempre di regolamento contrattuale, può avere riguardo al pregiudizio che si intende vietare.
Così ad esempio e senza ombra di dubbio, un regolamento contrattuale può vietare ogni genere di attività che rechi pregiudizio alla tranquillità, ovvero al riposo dei condòmini, che superi determinate soglie di rumorosità, ecc.
In tal caso, lo si comprende, l’attività di palestra non è di per sé vietata, come accade nell’ipotesi di divieti puntuale di specifiche destinazioni, ma è semplicemente passibile di sanzione e divieto se il suo esercizio arreca i pregiudizi che il regolamento intende evitare.
Ergo: in casi del genere una causa volta alla cessazione dell’attività potrebbe avere come effetto quello di vedere proseguire l’attività di palestra, ma a differenti condizioni e con particolari cautele.
Palestra in condominio, nessuna differenza tra proprietario e conduttore
Il caso del nostro lettore riguarda l’attività diretta da parte del condòmino, ma il discorso non è differente se a volere aprire questo genere di attività in condominio è una persona che stipula un contratto di locazione per locali astrattamente idonei allo svolgimento dell’attività di palestra.
La giurisprudenza sull’argomento è copiosa e tutta orientata ad una conclusione: se un regolamento vieta determinate destinazioni anche il conduttore non può non considerarle e ne può essere richiesta la cessazione.
Al riguardo la Cassazione ha affermato che in tema di condominio degli edifici e nell’ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell’edificio condominiale a determinati usi, il condominio può richiedere la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore.
Peraltro, solo nell’ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, si verifica una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario.
Tale situazione non si verifica invece nell’ipotesi in cui convenuto in giudizio sia soltanto il proprietario del locale e non anche il conduttore dello stesso, nei confronti del quale non vi sia stata pertanto richiesta di cessazione immediata dell’uso cui è adibito il negozio (sentenza 29/10/2003 n. 16240).
Nell’ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, il proprietario è tenuto a partecipare, quale litisconsorte necessario, nel relativo giudizio in cui si controverta in ordine all’esistenza ed alla validità del regolamento, in quanto le suddette limitazioni costituiscono oneri reali o servitù reciproche che, in quanto tali, afferiscono immediatamente al bene (sentenza 8/3/2006 n. 4920), Va aggiunto che la rigorosa previsione regolamentare in questione è costitutiva di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca (ordinanza 18/1/2011 n. 1064). (Cass. 27 maggio 2011 n. 11859).
Palestra in condominio e rapporti tra locatore e conduttore
Si badi: se il locatore, nel concedere in locazione i locali, ha celato il divieto di destinazione d’uso al conduttore, allora egli potrà essere chiamato a rispondere da quest’ultimo per i danni che gli ha arrecato concludendo un contratto che non avrebbe potuto essere sottoscritto in relazione a quella specifica destinazione.
Se, invece, il conduttore decide quella destinazione nonostante il chiaro ed a lui noto divieto di destinazione contenuto nel regolamento, è il locatore a poter domandare la risoluzione del contratto (oltre come già detto al condominio che può limitarsi a domandare la cessazione della violazione, non lo scioglimento del vincolo contrattuale) salva ogni azione risarcitoria (es. Trib. Monza 7 settembre 2016 n. 2395).
Più che di un generico potere di attivazione, quello posto in capo al proprietario, nel caso di violazione degli obblighi di destinazione (a lui noti) da parte del conduttore, è un vero e proprio obbligo se non stesso vuole evitare azioni risarcitorie da parte del condominio (si veda in tal senso Cass. 29 agosto 1997 n. 8239).
Fonte: https://www.condominioweb.com/palestra-in-condominio-quando-non-puo-essere-aperta.17888